Trattato dei manichini

 

Presentazione

Effige di donna consacrata all’esposizione in vetrina, per preservare la vita di chi, pagando, potrà indossarne le vesti.
Teatro in cui manichini vengono accatastati alla rinfusa, nudi, svergognati, come bambini che sciamano al sole, eppure immobili. Nudi perché inverecondi. Corpi gratificati, in stato di grazia. 
Trovare la chiave d’accesso all’infanzia, nella memoria onirica se il caso, e secondo le leggi anamorfiche del sogno.
Drammaturgia è l’incidente esterno al sogno che contrasta e devia la vita onirica, un fatto fisico, qualcuno che ci accarezza mentre dormiamo, o il lenzuolo che ci avvinghia le gambe tradotto in chissà quale essere mostruoso che ci assale e trascina giù, o la sveglia che suona trasformata in campanella da ricreazione.
Non c’è più drammaturgia, gli indizi contestuali non agevolano la fruizione concettuale dell’evento ma concorrono allo smarrimento dello spettatore, condotto a occhi aperti nel bosco della propria infanzia, e lì abbandonato, in attesa di incontrare se stesso bambino e semplicemente guardarsi negli occhi in attesa che qualcuno dei due s’avventi e divori l’altro.
L’opera della azioni è oscura e intestimoniabile come i giochi dei bambini, sedotti dalle conclusioni luttuose, come falene attratte dalla luce.
La notte è la luce nera che seduce, finché una creatura crepuscolare aprirà la tenda e farà intravedere la luna e il bagliore sarà tale da distogliere nostra madre dalla vita.
Allora il servitore, come in una favola, apparirà al momento giusto e toglierà il velo, rivelando che c’è un figlio terrorizzato da qualche parte che, semplicemente, vuole essere preso in braccio.
Il ritorno atemporale all’infanzia è un sogno che non si può raccontare, un nulla a cui nessuno crederà, ma un nulla visibile, contemplabile, confezionato con le immagini della realtà.
La materia non è il disegno ma il dramma degli impulsi che s’affrontano come nello schiudersi di un guscio.
Cogliere queste creature nell’atto di sbocciare.
La crisalide: uovo – baco – larva – farfalla, non sono quattro immagini distinte ma una sola con differenti linee temporali.
Quando si è investiti da un’immagine che ci guarda e non si sforza di raccontare poiché in quel dato istante continua a rivivere simultaneamente il proprio ciclo vitale.
La visitazione all’infanzia non è un fatto personale, riguarda tutti noi.
Una volta aperti gli occhi si resta esterrefatti nel vedere un’unica dolorosa iniziazione alla vita: imperscrutabile grido che è paura e al contempo gioia incontenibile.

PREMIO LIA LAPINI DI SCRITTURA DI SCENA 2009

PREMIO ETI NUOVE CREATIVITÀ 2009

Crediti

Drammaturgia, regia, scene, luci | Alessandro Serra

Con | Valentina Salerno, Silvia Malandra, Chiara Michelini, Alessandra Cristiani

Prodotto da | Compagnia Teatropersona

In coproduzione con | ARMUNIA, laLut/Festival Voci di Fonte, Jack and Joe Theatre

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